Per comprendere le difficoltà suscitate dalla questione “rifiuti” è bene ricordare quale avrebbe dovuto essere il sistema su tutto il territorio nazionale con la riforma del 1997.
L’attuale (teorico) sistema normativo prevede, infatti, che gestione del ciclo dei rifiuti avvenga in modo unitario, mediante l’affidamento del servizio a un soggetto imprenditore, che deve gestirlo in tutto l’ambito territoriale ottimale prescelto (che in Liguria corrisponde al territorio della provincia). L’individuazione dell’affidatario (il cd. Gestore unico), a sua volta, deve essere compiuta, dopo l’effettuazione delle scelte di programmazione elaborate dall’Amministrazione pubblica competente (oggi, dalla regione e, in precedenza, dalle Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale – ATO) procedendo alla redazione e all’approvazione di un piano di settore.
A quest’ultimo strumento (il cd. Piano d’Ambito) è rimessa sia l’individuazione degli investimenti occorrenti per l’esecuzione del servizio (impianti per la raccolta, impianti di trattamento meccanico o biologico dei rifiuti, termovalorizzatori, discariche), sia la scelta dei contenuti essenziali del servizio da affidare al gestore unico (criteri di raccolta, differenziata o meno, modalità d’esecuzione del servizio), sia la determinazione, sulla base degli investimenti programmati, delle tariffe a carico dell’utenza (destinate a coprire sia i costi del servizio, che quelli della realizzazione degli impianti). Questo sistema, in teoria coerente, risulta, in concreto, inefficiente e all’origine della questione “rifiuti” per essere di difficile attuazione pratica.
La “chiusura del ciclo”, infatti, presuppone che siano attuati, prima dall’avvio, sia l’unificazione della gestione del servizio su scala provinciale (sottraendolo ai comuni, che ne sono assegnatari dall’inizio del ‘900), sia gli investimenti infrastrutturali occorrenti per la conduzione del ciclo in modo coerente con gli obiettivi stabiliti dalla legge di protezione dell’ambiente, di massimizzazione della raccolta differenziata e di riduzione delle discariche (impianti di separazione e trattamento, termovalorizzatori, ecc.).
Or bene, questi due obiettivi si sono rivelati, in concreto, non agevolmente attuabili e, quindi, di fatto, d’ostacolo alla realizzazione del sistema, che è rimasto sulla carta e continua ad essere organizzato a livello comunale e in assenza dell’effettuazione degli investimenti infrastrutturali occorrenti per il conseguimento degli obiettivi dei moderni sistemi di gestione.
La costruzione “a cascata” della disciplina (legge –> piano d’ambito –> scelta gestore –> investimenti –> gestione unitaria ed efficiente) porta, infatti a immaginare il sistema a monte, in astratto, prescindendo dalla presenza, a valle, di investitori ed imprenditori che reputino opportune e convenienti le scelte attuate dai piani d’ambito, mentre l’unificazione della gestione a livello sovracomunale richiede una forza politica ben superiore a quella che fonda le coalizioni di governo delle singole regioni e province. L’esito di questa situazione è che, spesso, i piani non passano mai alla fase di attuazione, vuoi perché non è introdotto – per le resistenze dei comuni o per il mancato reperimento dei gestori – il sistema a gestione unitaria ed accentrata, vuoi perché mancano gli investimenti occorrenti per realizzare le infrastrutture la cui esistenza è necessaria per introdurre il progetto di gestione unitaria previsto.
Questo, si noti, non perché il modello non sia, in astratto, corretto o utile, ma perché l’attuazione concreta preferisce le previsioni di progetto (il Piano d’Ambito), senza che queste siano state prima verificate in termini attuabilità, essendo state elaborate senza la certezza della presenza degli imprenditori (gestori) disposti ad attuarle.
Questa situazione è quella che si è puntualmente verificata nel territorio della provincia di Savona, ove è stato elaborato un Piano d’Ambito (prima nel 2004 e poi nel 2007), che – pur contenendo delle previsioni ragionevoli (raccolta differenziata porta a porta limitata alla frazione umida del rifiuto, trattamento della frazione secca mediante valorizzazione termica per gassificazione, funzione residuale delle discariche, ecc.) – non è stato minimamente attuato.
Tralasciando le ragioni di tale mancata attuazione, sostanzialmente riassumibili nella strutturale inadeguatezza dello strumento (distaccato dalla realtà economica ed imprenditoriale) e nella mancanza della forza politica di imporre le relative scelte (non a caso nel 2008 era caduta la giunta provinciale di centro-sinistra proprio su questo tema), si deve rimarcare che – all’atto dell’insediamento dell’attuale amministrazione provinciale di centro-destra – la mancata attuazione del Piano d’ambito aveva creato quattro ordini di problemi.
Il primo problema riguardava l’esaurimento delle discariche in esercizio. Originariamente, la provincia di Savona utilizzava per lo smaltimento dei rifiuti urbani quattro impianti: Magliolo; Savona, Cima Montà, Vado, località Boscaccio; Varazze, Ramognina. Di questi quattro impianti, alla data di insediamento dell’attuale amministrazione provincia: quelli di Magliolo, che serviva il ponente, e quello di Savona, Cima Montà, erano stati chiusi per esaurimento; l’impianto di Varazze aveva disponibilità marginali e non poteva – per scelta del comune di Varazze – essere ampliato; mentre la discarica di Vado, località Boscaccio, era destinata ad esaurirsi nel 2012 in conseguenza della sua sopravvenuta utilizzazione a beneficio di tutta la provincia.
Il secondo problema atteneva al conseguimento degli obiettivi di raccolta differenziata previsti dalla normativa europea e nazionale, secondo la quale, entro il 2012, il 65% dei rifiuti avrebbe dovuto essere separato e destinato al recupero. Al contrario, i comuni della provincia raggiungevano, complessivamente, un obiettivo di raccolta differenziato non superiore al 25%, per di più senza destinare a riciclo che una parte di questo quantitativo e immettendo in discarica la residua parte pur separata in sede di raccolta (!!!).
La ragione di questo fallimento era da ricercare nel fatto che il 45-50% dei rifiuti suscettibili di raccolta differenziata è costituito dalla cd. frazione umida del rifiuto urbano (residui alimentari domestici e commerciali, scarti e materiale rapidamente biodegradabile, erba e residui delle operazioni di taglio del verde, ecc.). Per questa componente la raccolta differenziata ha lo scopo di conferire il rifiuto in impianti di bio-trattamento, che trasformano il rifiuto in bio-gas e terriccio per usi industriali e agricoli.
Or bene proprio questi impianti mancavano e non sono stati costruiti (a parte un impianto tecnicamente desueto presente a Villanova d’Albenga con portata ridotta a solo il 3-5% del fabbisogno complessivo provinciale e non funzionante per diverse ragioni tecniche e operative), non esistendo i fondi pubblici per realizzarli, né il soggetto (il cd. Gestore unico) che potesse essere incaricato della loro realizzazione.
La terza questione aperta dalla mancata attuazione dei Piani d’ambito del 2004 e del 2007 era quella del trattamento della cd. frazione secca dei rifiuti soliti urbani. Parte, questa, che secondo la normativa europea e nazionale e in base alle previsioni del Piano provinciale d’ambito avrebbe dovuto essere soggetta a valorizzazione energetica (mediante processi di gassificazione ad impatto ambientale nullo). Anche in questi casi, però, il piano d’ambito non chiariva dove e da parte di chi avrebbe dovuto essere, in concreto, costruiti questi impianti.
Su questi tre temi di carattere tecnico aleggiava, poi, un quarto problema d’ordine politico. Le previsioni dei piani d’ambito, per essere attuati, richiedevano l’affidamento dell’intero ciclo dei rifiuti urbani (raccolta, trattamento e smaltimento) a un Gestore unico provinciale con la conseguente espropriazione dei relativi poteri ai singoli comuni. Soluzione questa che – come ha dimostrato sia la vicenda della mancata attuazione dell’ATO Consorzio provinciale, sia del recente referendum sui servizi pubblici – era palesemente non attuabile per la resistenza delle amministrazioni comunali e per la mancanza della forza politica dell’ente di riferimento (Regione) per imporla.
In sostanza, il quadro di riferimento rinvenuto all’atto dell’insediamento dell’attuale Amministrazione provinciale di centro destra si connotava per la mancata attuazione dei piani d’ambito faticosamente e dispendiosamente elaborati nell’arco di dieci anni di amministrazione. Fallimento le cui ragioni immediate erano legate alla mancata introduzione del sistema del Gestore unico, ma che si compendiavano nell’omesso conseguimento di tutti gli obiettivi di legge o contenuti nella programmazione (livelli di raccolta differenziata, costruzione di impianti di trattamento, introduzione di forme di gestione standardizzate).
In questo contesto, una volta tentata senza successo la via della costituzione dell’ATO Consorzio (bloccatasi per inerzia della Regione Liguria), ne derivava che – volendo effettivamente risolvere il problema e non fare della inutile programmazione a fini solo propagandistici – occorreva operare introducendo una vera riforma copernicana del modus agendi.
Occorreva, cioè, individuare nel contesto delle disponibilità d’impresa ed amministrative presenti sul territorio quelle pronte a dare attuazione – prima e a prescindere dall’attuazione della gestione unificata provinciale (che, ad oggi, è solo una petizione di principio) – a singole fasi del processo unitario previsto dalla pianificazione esistente. Il tutto per giungere, anche gradualmente, ma effettivamente e con concrete ricadute sul territorio e reali benefici per cittadini, all’attuazione dei risultati di un ciclo coordinato e, quindi, sostanzialmente, se non giuridicamente, unitario.
In sostanza, volendo realmente affrontare il problema conseguendo qualche utilità, occorreva modificare l’impostazione di fondo, ma, si noti, non per quanto attiene agli obiettivi e ai principi (contenuti nei piani), ma per quanto riguarda il metodo per attuare queste finalità. Cercare, cioè, di risolvere le parti del problema che sono affrontabili in concreto e immediatamente, senza perdere tempo a programmare azioni che non si ha la possibilità di attuare.
Questo è il percorso che – dopo aver infelicemente tentato di introdurre il sistema a Gestore unico, che è rimasto al palo grazie a boicottaggio della Regione Liguria della costituzione dell’ATO Consorzio, che avrebbe fatto venir meno le gestioni comunali – l’Amministrazione provinciale di Savona ha seguito in questi venti mesi di duro lavoro e di cui rivendica non solo la paternità, ma anche il merito e il valore dell’intuizione e della pragmaticità.
Si è pensato, in sostanza, di addivenire alla creazione, dal basso, di un sistema di razionalizzazione del ciclo che, anche in assenza di una gestione giuridicamente unitaria, realizzi – mediante singole iniziative capaci di produrre effetti di sistema e di esercitare una funzione “centripeta” sulle gestioni comunali separate – i singoli benefici che sarebbero derivati dalla gestione unitaria e renda possibili a livello delle singole gestioni comunali quei comportamenti virtuosi che la legge impone a livello nazionale, senza prevedere a livello regionale gli strumenti per conseguirli.
Questo percorso – che si fonda sulla constatazione che i fenomeni reali sono governati dalla fattibilità economica delle azioni e non dalle regole scritte e riscritte – si snoda lungo tre fasi, che sono governate da un principio: adottare soluzioni concrete e farlo riducendo i costi per la collettività e, in particolare, per i cittadini.
La prima fase ha lo scopo di evitare la creazione di situazioni di emergenza e, quindi, di munire la Provincia di Savona di un sistema di discariche di servizio funzionante per almeno 15 anni.
La seconda fase attiene alla realizzazione degli impianti per la valorizzazione energetica della frazione umida del rifiuto e, quindi, tende a rendere possibile la raccolta differenziata di questa componente (che – ad onta delle dichiarazioni spesso pubbliche di questo o quel soggetto – è l’unica prevista dal piano dei rifiuti vigente) e ad evitare il suo smaltimento in discarica (che solo così è destinato a ridursi del 40-50%).
La terza fase riguarda, infine, la chiusura del ciclo con la realizzazione degli impianti per la valorizzazione energetica della frazione secca dei rifiuti solidi urbani prodotti, in modo da completare il processo di massimo riuso di tutti gli RSU e di minima utilizzazione delle discariche.
L’ampliamento della discarica del Boscaccio che ha preso il via con la sottoscrizione dell’Accordo di programma fra Regione Liguria, Provincia di Savona e Comune di Vado Ligure del 5 agosto 2011 è il primo passo per l’attuazione delle prime due fasi.
Realizza, infatti, la creazione del polmone di servizio per il prossimi lustri, riducendo il costo di smaltimento (considerate le imposte) di almeno il 20% circa e introduce, senza alcuna aggravio di costi per la collettività, ma con intero investimento a carico del gestore della discarica, il primo impianto di trattamento della frazione umida del rifiuto.
In sostanza si creano le condizioni affinché non insorga alcuna emergenza nello smaltimento dei rifiuti che l’aver per oltre dieci anni solo programmato, discusso e dibattuto e mai attuato aveva reso incipiente, portando alla chiusura di due dei quattro impianti esistenti in Provincia (Savona e Magliollo) e alla prossima saturazione dei due residui (Varazze e Vado Ligure).
Il tutto, si noti, a fronte della realizzazione del primo impianto provinciale per la valorizzazione della frazione umida del rifiuto, dell’esecuzione di un investimento del valore di diverse decine di milioni di euro da parte del gestore, non accompagnati da aggravi, ma anzi da una consistente riduzione delle tariffe a carico della collettività.
La realizzazione dell’impianto di Ferrania per il bio-trattamento della frazione umida del rifiuto, recentemente presentato alle istituzioni e approvabile – se l’investitore rispetterà i tempi previsti – entro la fine dell’anno, completa la seconda fase di questo percorso.
Viene realizzato cioè un ulteriore impianto per il trattamento della frazione umida e per la produzione di bio-gas funzionale alla raccolta differenziata di questa componente dei rifiuti solidi urbani (che è pari al 45% del totale dei rifiuti prodotti), rendendo così, per la prima volta in Provincia, possibile il raggiungimento dei obiettivi della raccolta differenziata fissati dal legislatore.
Il tutto, si noti, anche in questo caso, con l’esecuzione di un investimento del valore di ventina di milioni di euro da parte del gestore, non accompagnata da aggravi, ma anzi destinata ad essere associata ad una ulteriore riduzione delle tariffe a carico della collettività rispetto a quella già conseguita con l’ampliamento della discarica di Vado Ligure.
La terza fase – che, invero, attuate le prime due assume carattere sostanzialmente marginale e di perfezionamento del sistema – riguarda la valorizzazione della frazione secca e può essere attuata nell’arco di un triennio e, quindi, nel periodo di residuo mandato dell’attuale Amministrazione provinciale.
Si tratta di installare sul territorio – in abbinamento a insediamenti industriali energivori – alcuni piccoli impianti di valorizzazione termica (con il metodo della gassificazione o pirolisi, che garantisce un ridotto impatto ambientale e l’assenza di rischi connessi). Realizzare, quindi, non un grande impianto di trattamento di questa frazione del rifiuto (per il quale non esisterebbero neppure i flussi di approvvigionamento necessari), ma diversi piccoli impianti ad elevata tecnologia, privi impatto ambientale e agevolmente gestibili, destinati a produrre energia in modo dedicato a insediamenti industriali che l’utilizzerebbero direttamente. Il tutto per garantire, tramite l’abbinamento della valorizzazione energetica del rifiuto ad insediamenti o impianti esistenti, l’abbattimento degli investimenti occorrenti e l’ulteriore risparmio di costo connesso all’eliminazione o alla riduzione degli oneri di cd. trasferimento energetico.
In sostanza, si tratta perseguire lo scopo della valorizzazione della frazione secca del rifiuto, creando le condizioni affinché sia disponibile sul nostro territorio energia a basso costo e, quindi, affinché le numerose imprese ad elevato bisogno energetico presenti sul territorio Provinciale siano indotte a mantenere e a rafforzare la loro presenza e, con essa, tutti i benefici in termini di occupazione e di produzione del reddito che a ciò si associano.
In conclusione, quindi, riteniamo che sia stato elaborato e sia stato attuato un percorso assolutamente coerente e ragionato – e non episodico ed occasionale, come ha erroneamente affermato taluno per ragioni di polemica politica – di conseguimento degli obiettivi della programmazione esistente e della normativa vigente. Percorso che risolve i problemi che dieci anni di mancanza di soluzioni avevano reso imminenti, attuando gli investimenti infrastrutturali necessari al riguardo senza alcun aggravio di costo per la collettività, ma anzi a fronte di una consistente riduzione degli oneri tariffari a carico della cittadinanza.